
Né più mai toccherò le tue sacre sponde ove il mio corpo fanciulletto giacque, diceva un grande poeta del passato.
Mi viene da pensare a queste righe ogni volta che vedo le immagini di Lampedusa, Ceuta, delle Canarie, ma anche dell’ormai militarizzata linea di confine messicano-statunitense.
Per una persona che ha una vita normale: sveglia 7-7,30 metropolitana-ufficio..il caffè-la pausa pranzo-la difficoltà a riprendere a lavorare dopo la pausa pranzo-quasi l’ora di uscire, manca poco-l’ora di uscire-rimetropolitana-ricasa-moglie e qualche bambinetto che ti fa girare le palle proprio quando hai voglia di riposarti un po’-cena-TG-quel programmino che ti piace tanto dopo il TG-il solito film di merda-letto..Bene per una persona come questa e cioè la gran parte degli esseri umani occidentali/medioborghesi, è possibile che sfugga un po’ l’idea del partire verso l’ignoto.
Chi lascerebbe la propria vita, la propria terra, gli amici, la casa, i propri cimiteri, parenti e tutto quello che aveva considerato vita fino a quel momento, per l’incertezza di un mare inclemente e di un approdo ancora meno conciliante? Non aspettatevi una risposta numerica perchè ovviamente è una domanda retorica.
Quello che posso capire dopo circa 33 rivoluzioni terrestri attorno alla sua stella, è che col nostro empirismo andiamo poco al di là della nostra sfera di esistenza, in pratica non capiamo proprio un pisello!
Allora facciamo un esempio... Murtala, un nigeriano del Biafra, sui 38 anni. Appartiene ad una di quelle famiglie che fino agli anni 60 stavano molto bene, avendo fatto fortuna nell’arco di molte generezioni trafficando tutto il trafficabile con gli inglesi.
Quando nacque iniziarono le rivolte ed in pochi anni scoppiò la guerra civile. Nel decennio successivo cambiarono molte cose, tutto tornò alla normalità, la Nigeria diventò una repubblica federale, ma gli equilibri che si erano stabiliti prima dei rovesciamenti politici si incrinarono per sempre.
Murtala, unico maschio e primogenito di 8 figli si è ritrovato orfano e capo famiglia appena compiuti i quattordici anni. Era molto volenteroso e assai premuroso con le sorelle, tutto quello che riusciva a guadagnare o rubare, era per loro. Rimase piccoletto ed un po’ debilitato, per il poco cibo ed il tanto lavoro ma riuscì alla fine a far crescere le sorelle ed a farle diventare adulte e maritabili.
A 30 anni, quando le sorelle ormai avevano una propria vita, ebbe la fortuna di trovare per pochi soldi un terreno coltivabile. Chiese un prestito ad una banca, lo comprò e piantò del cacao. Nel giro di un paio d’anni il campo di Murtala era il più rigoglioso della zona, la rendita, alla fine della stagione era stata enorme e gran parte del guadagno lo investì per nuovi terreni.
I grandi coltivatori della zona, la maggior parte stranieri, non videro di buon occhio la fortuna del ragazzo, gli proposero una società ma in tutto, quello che Murtala riuscì a capire, era che avrebbe dovuto firmare un contratto di vendita dei propri terreni, avrebbe potuto continuare a coltivare parte della terra ma pagando un affitto annuale, pratica che gli ricordava tanto il feudalesimo ed il signoraggio.
Non accettò e quello fu l’inizio della sciagura: arrivò la stagione del raccolto e fu un'annata formidabile, le piante erano stupende e le richieste dall'estero erano raddoppiate rispetto all'anno precedente, ma proprio il giorno prima della raccolta, un incendio devastò le piantagioni, non rimase neppure una foglia, nel rogo bruciò tutto, anche la sua casa ed alcune capanne dei braccianti. Perse tutto.
Dovette vendere i terreni che dopo l’incendio persero valore perchè tutti sapevano che quei terreni dovevano andare ai grandi coltivatori e lui, alla fine, fu costretto a venderli a loro per una somma che non gli permise neppure di coprire la metà dei suoi debiti.
Passarono gli anni, e la strada fu la sua casa, i mariti delle sorelle non ne vollero sapere nulla di lui, strisciò nelle peggiori strade, rubò il pane e cercò di truffare i suoi simili, fu incarcerato e quando fu libero, all’alba dei 37 anni cominciò a camminare verso il confine.
Attraversò il Niger, sostò ad Agadez, e si unì a dei carovanieri del deserto, si ritrovò in Algeria ed alla fine a Tripoli, in Libia. I Tuareg, suoi compagni di viaggio gli offrirono i soldi per pagare un loro amico che con un peschereccio lo avrebbe portato in Italia.
Cosi' si trovò una notte sopra un peschereccio pieno di “pesci”, quasi tutti neri, qualche nordafricano, e un paio di orientali che non si capì bene per quali vie fossero lì. Murtala fu grato ai suoi amici nomadi, con i quali spartì le più belle notti stellate della sua vita, ma il loro regalo lo avvilì, nelle prime ore di navigazione si sentì un disperato come mai in vita sua...e pensare che credeva di avere già toccato tutti i fondi possibili.
Passarono giornate intere senza mangiare nè bere, giornate in cui il mare sembrava aver smesso di seguire le leggi della gravitazione, l’odore di vomito era quello meno rappresentativo della condizione delle persone a bordo. Mentre i giorni in mare raddoppiarono e poi triplicarono, il “Capitano”, come si faceva chiamare, mostrava sempre più di non avere idea di dove stesse andando. Alcuni corpi, non si sa bene se morti o se solo svenuti, cominciarono ad essere gettatati in mare.
All’ora della preghiera, la parola che risuonava di più era “hataf”, morte, che veniva chiesta a Dio per dare una fine immediata alle proprie sofferenze.
Finalmente, dopo quasi due settimane in mare, in lontananza si avvicina una costa, ed assieme a lei un’imbarcazione grigia, con un altoparlante che urla frasi incomprensibili in una lingua che sembra non essere generata da un essere umano, non ha suono, non ha vita.
Murtala ha paura, di fianco a lui c’è un ragazzino disteso, una mosca sta entrando nel suo naso, non trova l’impedimento del respiro ed entra con facilità. Davanti c’è un vecchio, bestemmia e lacrima, parla tra i denti di una donna, di quanto era bella e di quanto presto lo ha lasciato solo in questa vita: “Quanto ti amo, quanto ti amo ancora! ..Ti raggiungerò presto.” ripeteva.
Il molo, le corde marce d’acqua e sale, terra.
Di quaranta persone che c'erano sono rimasti in quindici e vengono alloggiati in un campo che ricorda molto i recinti dei polli.
L’isola è un centro turistico e non viene permesso loro di uscire, ogni tanto arriva qualche curioso a fare fotografie ed ogni tanto c’è qualcuno che urla e lancia pietre.
Murtala non sa fare nulla ed è malato, un interprete gli dice che non c’è posto per lui in Italia, lo avrebbero curato e rimandato in Nigeria ...e così fu.

Questo è il cerchio della vita....e a proposito di “circle of life” (Re Leone) ..mi viene da pensare che per molte persone, i problemi dell’Africa sono legati soprattutto al mondo floro-faunistico, l’estinzione della tigre, la caccia agli elefanti, il problema dei pinguini nel Sudafrica e lo sfruttamento forestale..anche la Disney che sfrutta a dovere l’Africa per i suoi personaggi...non pesca mai dal cilindro umano... ci sono sempre i leoni, i facoceri...tutti felici e sorridenti e con pochi problemi ...‘fanculo anche loro!
Bene, abbiamo un po' parlato, a volte anche noi occidentali abbiamo bisogno di qualche storiella di questo tipo per convincerci che in fondo capiamo benissimo le sofferenze di quella povera gente, d'altronde anche noi in qualche momento le abbiamo patite..."noi siamo stati emigranti!"
...salvo poi a spiegarmi come possiamo sentire i patimenti dei nostri ancestori che sono partiti per l'America un secolo fa, se molto spesso non riusciamo neppure a capire (o non ci interessano minimamente) le sofferenze delle persone a cui vogliamo bene!
Saluti a tutti.