Per tutti quelli che, fermandosi a contemplare il tramonto per quei cinque minuti da quando il sole inizia a toccare l'acqua a quando scompare completamente, sono riusciti, anche solo che per un attimo, a sentire il ribollire del mare all'orizzonte.
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lunedì 9 ottobre 2006

L'acqua che uccide


Il 9 ottobre di 43 anni fa, alle 22,39 un boato svegliò il sonno degli abitanti di Longarone e dei comuni vicini, una zolla di 2 km di lato di terra si staccò dal monte Toc, ad un paio di chilometri dal paese e andò a sfracellarsi nell'invaso del lago artificiale sottostante.
Lo schianto fu tale che la terra franata risalì per un centinaio di metri nell'altra sponda del lago e l'acqua spostata dalla stazza della frana produsse un'ondata di 50 milioni di metri cubi d'acqua, metà della quale scavalcò la diga e si riversò nella vallata sottostante, distruggendo tutto ciò che si trovava nel suo cammino.
La stima totale dei morti sarà di circa 1900 persone, Longarone fu rasa al suolo, Erto e Casso furono risparmiati, ma gran parte delle loro frazioni vennero distrutte e tutti i paesi sparsi nella vallata sottostante ebbero gravi danni e ferite indelebili che ancora oggi, a 43 anni di distanza faticano a chiudersi.
E' la cronaca della tragedia del Vajont, uno dei più colossali "si poteva evitare" della storia italiana!

La costruzione della diga sul fiume Vajont cominciò nel '56 e terminò nell'agosto del 1960. Già durante i primi mesi di lavoro si comprese quanto le stime geologiche effettuate durante la progettazione, non fossero corrette; le cariche esplosive utilizzate per modellare le spalle della diga, sgretolavano la roccia in modo inaspettato, portando alla luce una geologia, a dir poco, preoccupante.
Durante le opere di consolidamento, in seguito, venne utilizzata un'enorme quantità di cemento che veniva totalmente inghiottita dalle faglie e dalle fratture del terreno, non lasciando alcun dubbio sull'eccessiva divisione degli strati e friabilità della roccia su cui si sarebbe appoggiata la diga.
Ma malgrado tutto, i lavori continuarono. Non venne ascoltata la voce della popolazione della valle, dei contadini, che conoscevano bene la conformazione delle loro montagne, l'instabilità delle pareti, non venne ascoltata la giornalista Tina Merlin che seguì la protesta e venne anche denunciata per "diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico".

I lavori finirono e già durante i collaudi, nei primi riempimenti e i successivi svasi, enormi pezzi di montagna franarono nel lago; le vene argillose nelle fenditure della roccia, con l'acqua diventavano dei veri e propri cuscinetti che pian piano facevano slittare gli strati, gli uni sugli altri.
Gli ingegneri che si occuparono del progetto, compresero il pericolo e per calcolare i possibili effetti di una colossale frana sulla vallata fu creato un modello in scala, ma vennero commessi molti errori, quello che risultò chiaro per gli studiosi era che se si fosse tenuta l'acqua ad un livello inferiore ai 700 metri slm, non ci sarebbe stato nessun reale pericolo per le popolazioni in caso di frana.
La data del 9 ottobre del '63 è scritta sulle lapidi di quasi 2000 persone e nei cuori di chi in quella valle ha potuto continuare a viverci.

Ora, a più di quarant'anni da quella tragedia, chi doveva pagare ha pagato la propria colpa, la Montedison e l'Enel, gli ingegneri, i costruttori, ma nulla tra tutto questo, può valere tanto quanto la ricezione di una lezione dalla storia: tutto questo si poteva evitare!
Con questa idea, occorrerebbe non fare più, oggi, gli stessi errori. Non bollare come folcloristica o tendenziosa la protesta di chi reputa che alcune opere pubbliche potrebbero danneggiare il territorio e mettere in grave pericolo le popolazioni, come invece, continua ad accadere... per esempio in Val di Susa!

Luca

La frana oggi.

5 Comments:

Anonymous Anonimo said...

Ciao ...lo "sviluppo" dovrebbe avvenire solo quando è "sostenibile" altrimenti si va incontro a grandi rischi e come in questo caso a terribili tragedie ..e che diritto ha, chi è dalla parte del"potere" ,di mettere a rischio la vita altrui?
Con che coraggio nel caso del Vajont non furono fermati i lavori nonostante fosse stata individuata la possibilità di frane?
Furono anche affrettate le prove d'invaso per mettere in funzione l'impianto e goderne i profitti prima della nazionalizzazione dell'energia elettrica ...
superficialità? no..direi vergognoso menefreghismo.
Mi hai fatto tornare in mente il Racconto del Vajont di Marco Paolini trasmesso il 9 ottobre '97 nell'anniversario della strage! Paolini era allora ancora semi sconosciuto al grande pubblico e raccontò magistralmente quella triste vicenda .Ne rimasi affascinata . Vorrei cercare il dvd ...e lo consiglio a chi non l'avesse mai visto .
saluti a tutti

10 ottobre, 2006 23:44  
Blogger Luca L. said...

Pensa, quel video di Paolini l'ho appena finito di vedere.. un paio di minuti fa, che coincidenza!!!
Questo è l'indirizzo da vederlo on-line.

11 ottobre, 2006 00:46  
Anonymous Anonimo said...

...si... che coincidenza!

Visto che è così interessante, lo guarderò anche io (ieri non ho fatto in tempo) quando arriverò a casa...

Elena

11 ottobre, 2006 13:49  
Blogger I viaggi di mkvale said...

paolini nel vajont dà il meglio di sè... io adoro quel suo spettacolo...riesce addirittura a farti "sentire" il boato dell'acqua... fa piangere e venire la pelle d'oca, e fa inca...re ...

vi consiglio anche lo spettacolo sulla strage di ustica. anche lì... sembra di stare nella torre di controllo!

per la cronaca , paolini tornerà al teatro della corte anche qs anno col suo nuovo spetatcolo. mi sa che ci vado..come ogni anno ;)

11 ottobre, 2006 21:30  
Anonymous Anonimo said...

ehi luca ... allora me lo presterai tu il video!! Lo vorrei rivedere
Ciauuuu

12 ottobre, 2006 12:34  

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